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Vita da Cav

E’ un freddo giovedì di febbraio, le volontarie allo sportello indossano pesanti piumini, nonostante il riscaldamento a manetta, non c’e verso di scaldarsi. A metà mattina una telefonata: è una mamma incinta, ci chiede un appuntamento, “ho tanto bisogno di aiuto”. Sfoglio l’agenda per verificare se riesco a trovarle un “buco” nei giorni successivi, niente, tutto pieno. Riparto a sfogliare dall’inizio. Nel frattempo, le solite domande di routine: “dove abita?”, “come si chiama?”, “ha altri figli?”, “chi l’ha indirizzata a noi?”, ecc.

Nelle risposte che la donna mi da, colgo qualcosa di strano, il tono è dimesso, la voce a tratti, un sussurro.
Abbandono l’agenda, mi concentro sulla telefonata, dall’altra parte del filo cala il silenzio poi, tutto d’un fiato e senza esitazioni: “voglio abortire!”.
Le fisso l’appuntamento due giorni dopo e avviso l’operatrice di turno, chissà se verrà… l dubbi sono tanti ma alla fine …eccola arrivare!
Inizia così la relazione con Mina (chiamiamola così…), una donna senegalese da diversi anni in Italia, due figli da una precedente relazione ed uno in arrivo. “Quando gli detto di essere incinta mi ha lasciata ed e andato a vivere con un’altra donna, lontano da qui.”
Da un giorno all’altro Mina e i suoi figli si sono trovati da soli, senza soldi per pagare l’affitto, le bollette, per mangiare. Il padrone di casa le ha lasciato un po” di tempo per trovare una sistemazione, alcuni amici le danno un pò di cibo.
“Voglio abortire… Ho saputo che voi aiutate le donne incinte.” dice all’operatrice che l’accoglie.
Le viene spiegato che siamo, cosa facciamo, “si, noi aiutiamo le donne in gravidanza, ma non ad abortire”.
E allora, come potete aiutarmi?
Cerchiamo di spiegarci, Mina fa molte domande. E’ poco informata, non è al corrente degli aiuti che la Regione e lo Stato forniscono alle donne in gravidanza e che si aggiungono a quelli che offriamo noi. Il suo stato d’animo a poco a poco cambia, un lume di speranza fa capolino nella sua disperazione: “davvero voi fareste questo per me?”. “Devo decidere subito?”.
No, può prendersi il tempo che vuole. Noi siamo sempre qui. Torna una settimana dopo, dalla borsa estrae il certificato di gravidanza rilasciato dal consultorio, “serve questo per il bonus famiglia, giusto?”.
Di storie simili a quella di Mina, storie di abbandono e solitudine, ne abbiamo raccolte più d’una nel corso del 2016, e non solo tra le donne di origine straniera. Di sicuro tale evento di per sé traumatico, ha effetti devastanti nelle famiglie di immigrati in quanto queste ultime non possono godere di alcun minino supporto da parte della famiglia di origine, generalmente rimasta nel paese di provenienza.
Con le mamme percorriamo un pezzo di strada, operando in termini di accoglienza ed ascolto ma anche di sostegno concreto.

Nel 2016 infatti abbiamo gestito 275 progetti a favore di 169 bambini. Altri 157 bambini hanno potuto beneficiare della distribuzione di indumenti. In totale gli accessi al guardaroba sono stati 623 per un totale di oltre 2.800 cambi distribuiti.  Abbiamo accolto 251 mamme la maggior parte straniera, di cui 46 in gravidanza. Rispetto all’anno precedente, si presenta in incremento il numero di mamme italiane.
Tramite i progetti abbiamo consegnato 285 confezioni di latte per neonati, 1.651 pacchi di pannolini, 225 borse di alimenti per lo svezzamento e l’infanzia, 36 corredini.

Un'operatrice consegna i pannolini

Un’operatrice consegna i pannolini

Si mostrano in diminuzione i progetti economici in seguito ai bonus regionali e statali a cui hanno potuto accedere le mamme. Diminuite sono anche le confezioni di latte per neonati grazie al proseguimento della campagna di informazione sull’allattamento al seno che dallo scorso anno è affidata ad un’ostetrica (anch’essa volontaria), la quale inoltre distribuisce i corredini alle mamme prossime al parto.
In alcuni casi gli aiuti forniti sono stati sufficienti alle mamme per uscire dalla temporanea situazione di bisogno in altri invece, abbiamo dovuto attivarci per creare attorno a loro una “rete” di sostegno che potesse supportarle in misura maggiore e più a lungo.

Dal “Portavoce” – bollettino delle parrocchie di Cassano d’Adda – ed. marzo 2017

“Sarà femmina”.

Uno studio sull’aborto selettivo basato sul sesso, pubblicato l’undici aprile dal Canadian Medical Association Journal, ha riaperto la discussione nel Paese su questa terribile pratica.

Il Ministro della Salute della provincia dell’Ontario, Eric Hoskins (nella foto), si è detto “profondamente turbato”, ricordando ai medici che non dovrebbero eseguire simili procedure.

Il Ministro della Salute dell'Ontario, Eric Hoskins

Il Ministro della Salute dell’Ontario, Eric Hoskins

Riportiamo sull’argomento, l’articolo di Laura Bianchi pubblicato la scorsa settimana sul quotidiano “La Croce”.

Uno studio, pubblicato questa settimana dal Canadian Medical Association Journal, ha rivelato che in Canada l’aborto selettivo sulla base del sesso del nascituro è una realtà, diffusa in particolar modo nelle comunità di immigrati di origine indiana.

Se la proporzione normale di nascite tra bambini e bambine, in Canada, è di circa 105 maschi per ogni 100 femmine, tra le madri di origine indiana che hanno già due figlie, la proporzione salta a 138 maschi ogni 100 femmine. Tra le madri di 3 bambine si arriva a 166 maschi ogni 100 bambine. Gli autori dello studio hanno stimato che, negli ultimi 20 anni, a circa 4,472 bambine è stato impedito di nascere.

Che l’aborto selettivo (in base al sesso) sia una realtà in Canada non è nemmeno una novità: nel 2012, sempre il Canadian Medical Association Journal, aveva rivolto un appello ai medici, chiedendo di non rivelare ai genitori il sesso dei nascituri, prima della 30’ esima settimana di gestazione. Uno studio aveva infatti accertato che l’eliminazione, tramite aborto, di feti di sesso femminile, aveva determinato scompensi  delle proporzioni ‘normali’ maschio/femmina nelle nascite, all’interno di alcuni gruppi etnici, in tutto il Nord America.

Nel 2014 una dichiarazione congiunta della ‘Society of Obstetricians and Gynecologists of Canada’ (Associazione di Ostetrici e Ginecologi canadesi) e della ‘Canadian Association of Radiologists’  (Associazione dei Radiologi Canadesi) aveva chiesto di porre fine all’utilizzo degli strumenti ad ultrasuoni per ‘intrattenimento’ o per individuare il sesso dei bebè nel grembo materno.

Come sottolinea Robyn Urback dalle pagine del Toronto National Post: “ la questione è una patata bollente (e rischia di diventare una bomba a tempo – Ndt)  per il Governo canadese, sia dalla prospettiva del relativismo culturale, ma anche perché il nostro Primo Ministro Justin Trudeau, orgogliosamente femminista, aveva promesso che tutti i suoi Parlamentari avrebbero sempre votato in Parlamento a favore del ‘diritto di ogni donna a scegliere’.

In Canada le donne possono scegliere di porre termine alla propria gravidanza per qualsiasi ragione: perché sentono di essere troppo giovani, o troppo avanti con l’età, o perché non reputano di godere di una situazione economica stabile, o perché preferiscono concentrarsi sulle loro carriere o perché semplicemente non se la sentono di avere un figlio o di essere incinta. In ogni caso, il fattore decisivo è la qualità di vita della donna, non quella del bebè, e c’è pure ampio consenso sulla considerazione che sarebbe meglio abortire piuttosto che far nascere un bambino non desiderato.”

Nel caso dell’aborto selettivo sulla base del sesso del nascituro, invece, la decisione non ha nulla a che fare con la qualità di vita della madre, ed invece tutto a che fare con CHI la madre vuole che il bambino sia. Questo specifico tipo di aborto selettivo è interamente motivato da CHI il bambino è o diventerà: una donna.

Da ogni latitudine e da tempo le femministe vengono invitate a spiegare come ritengano di conciliare l’incoerenza tra il loro difendere il diritto di ogni donna a ‘scegliere’ ed il non pronunciarsi circa il diritto di ogni bambina a vivere.

Il punto sta tutto, forse, proprio qui: parlare di aborto tout court potrebbe anche consentire di considerare il feto come ‘un grumo di cellule’, operazione meno semplice quando sappiamo che il feto ha un sesso riconoscibile ed individuabile, come quando si parla di aborto selettivo.

A prescindere da come e se il Governo canadese deciderà di intervenire, risulta evidente che siamo di fronte ad una questione che le sole leggi non riusciranno a rimediare: in Canada bambini e bambine crescono godendo pienamente degli stessi diritti e delle medesime libertà, eppure la vita delle donne viene talmente sottostimata, che una famiglia sarebbe disposta ad abortire piuttosto che avere un’altra figlia.

Il caso canadese ci pone di fronte ad una realtà mondiale: le nostre società assomigliano sempre più a dei Club sociali all’interno dei quali i soci attuali decidono, per cooptazione, sull’incorporazione di nuovi membri.

La psicologia umana ha un funzionamento tale per cui l’uomo può abituarsi, senza alcun problema, ai comportamenti più barbari, purché essi vengano reiterati con la dovuta frequenza.

Viviamo in società che si infliggono, in modo continuo, attraverso l’aborto, una ‘strage di innocenti’ che si spinge fino al termine della gravidanza ed anche nei casi in cui i bambini indesiderati dovessero arrivare alla luce ancora in vita.

Come diceva Bernanos, ci sono una potenza tecnica ed una potenza economica che si sommano e che finiscono per spazzare via ogni scrupolo morale.

Michel Foucault, ne “La volontà di sapere, diritto di morte e potere sulla vita”, chiama questa congiunzione di poteri “bio-potere”: caratterizzato da una manipolazione dei corpi e da una gestione calcolatrice della vita.

Medici che diventano fabbricanti, donne-clienti, bambini interscambiabili e scartabili.

Sono femminista e contro l’aborto

Femminista e contro l’aborto. Un controsenso? Leggendo l’articolo di Erika Bachiochi, americana, ex-abortista, pubblicato sul sito di CNN nel gennaio dello scorso anno, sembrerebbe proprio di no. Lo riproponiamo tradotto (chi volesse leggere l’originale può farlo sul sito di CNN cliccando qui) nel giorno in cui si festeggia la donna. Un punto di vista interessante quello di Erika e per noi italiane del tutto o quasi, nuovo.

Ma Erika non è una voce isolata. Negli Stati Uniti numerosissimi gruppi e le associazioni femministe a favore della vita.

Manifestazione delle prime femministe americane (primo '900)

Manifestazione delle prime femministe americane (primo ‘900)

Si rifanno tutti alla tradizione delle prime femministe americane che lottavano per l’emancipazione della donna, per il diritto di voto (ottenuto nel 1920), per migliori condizioni lavorative, per la sicurezza sul posto di lavoro, contro la violenza, per il diritto all’istruzione dei bambini, contro lo sfruttamento del lavoro minorile, ma erano anti-abortiste.

Una di loro, Alice Paul (un gruppo femminista porta oggi il suo nome) scrisse che l’aborto “è il massimo sfruttamento delle donne”. Sulla stessa linea la femminista Susan B. Anthony ed Elizabeth Cady Stanton figura guida dei primi movimenti femministi americani.

Per leggere l’articolo clicca sul link: “Sono femminista e contro l’aborto” di Erika Bachiochi