Sabato 13 maggio nel corso dell’assemblea ordinaria dei soci, la presidente Ernestina Guaitani ha presentato la relazione sull’attività svolta durante il 2022 da cui abbiamo estrapolato alcuni dati statistici.
I nuovi nati sono stati complessivamente 27. Le mamme di 13 neonati sono venute al Cav in gravidanza, 14 dopo il parto.
Il numero di mamme accolte ed aiutate nel 2022 è stato pari a 69 di cui il 44% circa si sono rivolte a noi per la prima volta su indicazione delle Caritas locali o dei servizi sociali, ma soprattutto della rete amicale e parentale.
Il numero di mamme è stato influenzato sia dagli effetti delle misure sociali adottate in seguito al Covid (gli aiuti predisposti dalle istituzioni, il rafforzamento delle associazioni caritative locali) sia dall’emergenza dei profughi ucraini che ha provocato, al di la delle raccolte specifiche, una generica impennata delle donazioni di generi alimentari e non, anche per la fascia 0-2 anni, che si è protratta per diversi mesi e di cui hanno potuto beneficiare diverse famiglie indigenti a cui le associazioni caritative locali hanno distribuito i beni.
Possiamo delineare un profilo delle donne venute al Cav nell’anno passato?
«Si tratta per lo più di donne immigrate» risponde la presidente, «con un tasso di istruzione più alto rispetto al passato. Un diploma, a volte una laurea, non riconosciuti nel nostro Paese. Il loro numero è in calo negli ultimi tre anni a differenza delle mamme italiane il cui numero rimane stabile e che nello scorso anno hanno rappresentato il 20% delle mamme.
I nuclei famigliari sono per la maggior parte costituiti da 1 o 2 figli, alcuni, pochi, sono addirittura al primo figlio.
L’Età delle mamme varia da 17 a 46 anni. La maggior parte ha un’età intorno ai 30 e più, quelle sotto i 29 anni sono solo 19, poco meno di un terzo del totale delle mamme venute al nostro Centro mentre ben 13 superano i 40 anni.»
La motivazione che ha spinto le mamme dalle prime fasi della gravidanza a dopo il parto a rivolgersi a noi è essenzialmente di natura economica, ma spesso è stata anche influenzata da una serie di complesse dinamiche personali, sociali e familiari. Le situazioni variano ampiamente: dalla famiglia d’origine problematica alla violenza domestica, dalla minore età al bullismo, da problemi di salute del neonato alla disabilità di un figlio, dal lavoro precario o mal retribuito alla disoccupazione, dall’abbandono da parte del partner dopo aver comunicato la gravidanza all’essere mamma single ed aver perso il lavoro, tanto per fare qualche esempio.
Inoltre, esistono anche sfide specifiche legate all’immigrazione che hanno influenzato la decisione delle mamme di cercare aiuto. L’immigrazione infatti può aumentare la vulnerabilità di queste donne, aggiungendo ulteriori ostacoli e difficoltà quali l’adattamento a una nuova cultura, la barriera linguistica, la mancanza di supporto familiare e sociale nel nuovo paese e la difficoltà nell’accedere ai servizi sanitari e sociali.
A tutte le mamme che si sono rivolte a noi abbiamo fornito il nostro supporto impegnandoci ad offrire un ambiente accogliente in cui potessero trovare ascolto ed aiuto concreto durante questa fase importante della loro vita.
Negli ultimi anni l’ISTAT ha sollevato l’allarme sulla voragine demografica, spingendo alla promozione di convegni, seminari e stati generali sulla natalità. Da queste iniziative sono emerse anche interessanti proposte per affrontare il problema ma non sono sufficienti.
«L’attenzione alle donne in gravidanza o neomamme che si trovano nel bisogno è fondamentale per offrire loro il sostegno necessario durante questo periodo cruciale della loro vita.
Per trovare soluzioni efficaci e sostenibili è importante che le Istituzioni considerino le complesse sfaccettature delle loro situazioni ed affrontino le questioni economiche, sociali e familiari che le influenzano. Dovrebbero altresì promuovere il lavoro in rete tra il Terzo Settore e gli altri soggetti sociali e sanitari che operano sui Territori locali. Solo così potremo contribuire a creare una società in cui ogni madre e ogni bambino abbiano la possibilità di affrontare il futuro con sicurezza e speranza.»
Dopo l’Assemblea di giugno in cui abbiamo presentato ed approvato il nuovo Statuto adeguato alle disposizioni del Codice del Terzo Settore (DLGS 117 del 03/07/2017) un nuovo importante appuntamento è alle porte: il rinnovo del Consiglio Direttivo.
Il 30 novembre 2019 alle 15.00, presso il Centro Civico di via Dante, si terrà a tal proposito l’Assemblea Soci.
Parleremo e ci confronteremo su quanto fatto negli ultimi anni ma soprattutto delle mutate condizioni socio-economiche del nostro Territorio, dei bisogni soddisfatti e dei nuovi bisogni di cui la nostra Associazione non potrà non tenere conto nello stendere gli obiettivi e le strategie del prossimo triennio e programmare le conseguenti azioni. Un dato su tutti condizionerà ogni discussione ed ogni scelta: il calo costante delle nascite e di conseguenza delle mamme che si rivolgono a noi, a cui si affianca tuttavia una maggior complessità delle situazioni, dei problemi e delle vulnerabilità che le donne si trovano a dover affrontare. Paradossalmente alle nostre volontarie colloqui oggi chiediamo meno turni rispetto a 3 anni fa, ma un maggior impegno e disponibilità di tempo.
Parleremo anche dell’esigenza di un cambio generazionale in seno alla nostra Associazione, della necessità di coinvolgere sempre più persone, giovani e meno giovani, che affianchino gli operatori ed amministratori attuali per garantire il presente e il futuro del Cav di Cassano d’Adda.
In altre parole: dobbiamo gettare le basi per costruire il cav di domani e riteniamo fondamentale l’ampliamento della base sociale e la partecipazione e il coinvolgimento di un sempre maggior numero di persone, in modo da poter offrire una pluralità d’idee e di opinioni, nell’interesse e per il bene comune e per garantire nel tempo il graduale ricambio generazionale di cui parlavamo prima.
Invitiamo dunque coloro che condividono i nostri ideali e il nostro pensiero ad associarsi, e ringraziamo tutti i soci, che nel tempo hanno, in diversi modi, contribuito alla crescita del Cav. Ora, ad ognuno si offre la significativa opportunità di accrescere il proprio coinvolgimento nella nostra Associazione, anche attraverso l’eventuale assunzione di incarichi direttivi e ruoli operativi.
Il Cav di domani è quello che stiamo costruendo oggi !
Un centro antiviolenza a Cassano d’Adda dal 2 maggio prossimo.
Il servizio fa parte di un ampio progetto sviluppato in 28 comuni dell’Adda-Martesana nell’ambito delle politiche regionali di prevenzione e contrasto della violenza maschile contro le donne (L.R.11/2012) ed è frutto della co-progettazione tra i comuni medesimi, la Fondazione Somaschi e la Cooperativa Dialogica che ben conosciamo in quanto partner nel progetto in rete energiRa, tuttora in svolgimento e nel progetto Cittadinanza Generattiva conclusosi il 31/12/16.
Della rete V.I.O.L.A. fanno parte anche l’Ats di Città metropolitana, l’Azienda sociosanitaria di Melegnano e della Martesana, le Forze dell’Ordine oltre a parecchie associazioni del Terzo Settore.
Il centro antiviolenza è stato presentato mercoledì mattina nella sede di Cassano, nel corso di una conferenza stampa. A fare gli onori di casa, l’assessore ai Servizi Sociali Arianna Moreschi (“Un desiderio finalmente realizzato, sul quale ho lavorato per anni”).
Con lei, al tavolo dei relatori, il presidente dei sindaci del Distretto 5, Lorenzo Fucci, l’ assessore ai Servizi alla Persona del comune di Melzo, Valentina Francapi, la responsabile dell’Ufficio Unico e Piano di Zona Distretto 5, Lorena Trabattoni e Valerio Pedroni della Fondazione Somaschi Onlus.
Il nuovo centro, ha affermato la dott.ssa Trabattoni “è un hub che porta competenza e specializzazione e rilancia verso le reti territoriali.”
Alla base, la co-progettazione di un nuovo modo di accoglienza della donna e condivisione con lei del progetto d’aiuto verso l’autonomia. Nel nostro Territorio negli ultimi anni il 30% delle donne tra 16 e 70 anni ha subito atti di violenza e il dato sembra in aumento, così come sono aumentate nello stesso periodo le denunce da parte dei pronto soccorso.
Al giorno d’oggi “c’è più consapevolezza da parte della donna di considerare questi atti di violenza, reato” ha proseguito Lorena Trabattoni, “Potendo monitorare meglio questi atti, riusciremo a nostra volta a dare risposte più adeguate. Entrare nel centro antiviolenza significa entrare in un sistema di mappatura che ci permetterà di avere riscontri oggettivi sui quali riprogrammare, riprogettare l’attività.”
Il Centro Antiviolenza si trova in via Verdi 22 a poca distanza dal nostro Cav ed è contattabile negli orari d’apertura riportati
sul volantino nella foto a sinistra (clicca per ingrandire), al numero 393 1667083.
Il Centro Antiviolenza metterà a disposizione delle donne gratuitamente, una serie di servizi tra i quali:
EnergiRa – Energie che fanno girare la Comunità
è questo il titolo del nuovo grande progetto del gruppo Cassano Generattiva di cui facciamo parte.
Il progetto, presentato al bando “Doniamo energia” è stato ammesso al finanziamento.
La partecipazione al bando (stesura del progetto, adempimenti fase 1, redazione budget economico, adempimenti fase 2) ed il successivo lavoro di impostazione ed organizzazione del lavoro ha richiesto quasi un anno. Ora siamo pronti a partire !
Ieri sera nell’aula consiliare, si è tenuta la presentazione di EnergiRa alle associazioni del Territorio, ai gruppi parrocchiali ed ai gruppi di volontariato. Molta attenzione è stata prestata alle parole delle relatrici, le quali hanno invitato le Realtà presenti a collaborare.
La serata è stata aperta con la proiezione del video del precedente progetto in rete – Cittadinanza generattiva – dalla cui esperienza è nato EnergiRa.
Buona l’accoglienza del progetto, un particolare apprezzamento è stato espresso da don Sandro Cappelletti, parroco dell’Annunciazione.
L’incontro con le associazioni e i gruppi cassanesi del 12/2/18
“Credo sia molto bello, a me piace tantissimo, perché ritengo che sia una bella onda d’urto dentro la comunità cassanese per risvegliare un nuovo modo di rapportarsi, nuove attenzioni”. Il parroco ha apprezzato in particolar modo il lavoro in rete delle associazioni, “non è così scontato. E’ già un successo essere riusciti a mettersi in rete, a stendere insieme questo progetto, a pensarlo, a ottenere i finanziamenti.” Don Sandro ha poi proseguito sottolineando l’importanza di coinvolgere la comunità perché si crei un’attenzione “gli uni verso gli altri”.
Prossimamente l’incontro con le scuole e successivamente con la cittadinanza.
“Settant’anni fa, nel marzo del 1946 in occasione delle elezioni amministrative e il 2 giugno 1946 in occasione del referendum tra monarchia e repubblica, in Italia le donne votavano per la prima volta. Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, il suffragio universale perfetto portava a compimento una battaglia cominciata in Italia all’indomani dell’Unità, passata attraverso le petizioni delle prime femministe all’inizio del Novecento e corroborata dalla partecipazione delle donne alla guerra di Resistenza…………………. il progetto di società democratica e partecipativa che si stava delineando, in cui le donne avrebbero continuato a lottare per affermare la parità dei loro diritti in ogni campo della vita privata e pubblica, dall’economia alla politica e alla cultura.”
E’ questo lo spunto proposto dal Miur per la traccia del tema di argomento storico, della prima prova degli esami di maturità iniziati lo scorso 22 giugno.
Tacciata di banalità da alcuni, (lo storico Giovanni Sabbatucci su “La Repubblica” per esempio), troppo scontata per altri, la traccia comunque, richiama un tema importante ed attuale nonché un grande traguardo per le donne del nostro Paese che nella rivendicazione del diritto di voto si ispirarono alle suffragette di altre nazioni.
Curiosamente, lo stesso giorno di 99 anni prima, (22 giugno 1917) le suffragette americane Lucy Burns e Katherine Morey furono arrestate nel corso di una pacifica e silenziosa protesta di fronte alla Casa Bianca, mentre portavano uno striscione sul quale era citata una frase del presidente Woodrow Wilson: “Combatteremo per le cose che abbiamo sempre avuto a cuore, per la democrazia, per il diritto di coloro che si sottomettono all’autorità ad avere voce nei loro governi”.
Da qualche mese la femminista pro-life Alice Paul aveva organizzato picchetti davanti alla Casa Bianca.
Sfidando le intemperie, gli insulti e le violenze fisiche, più di un migliaio di donne (le “Sentinelle Silenziose”) rivendicarono giorno e notte tranne la domenica, il diritto di voto per le donne.
Il 27 giugno 1917, sei suffragette furono condannate a tre giorni di carcere per “ostacolo al traffico”.
Fu data loro la possibilità di pagare una multa di 25 dollari in luogo della galera, ma le donne scelsero il carcere dove chiesero di essere trattate come prigioniere politiche e continuarono la loro protesta mediante lo sciopero della fame.
Tre anni più tardi, il 18 agosto 1920, venne ratificato dai tre quarti degli Stati federati il XIX emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, che garantiva il diritto di voto alle donne in tutto il territorio della Federazione.
Foto tratte dal sito FeministsForLife.org
Femminista e contro l’aborto. Un controsenso? Leggendo l’articolo di Erika Bachiochi, americana, ex-abortista, pubblicato sul sito di CNN nel gennaio dello scorso anno, sembrerebbe proprio di no. Lo riproponiamo tradotto (chi volesse leggere l’originale può farlo sul sito di CNN cliccando qui) nel giorno in cui si festeggia la donna. Un punto di vista interessante quello di Erika e per noi italiane del tutto o quasi, nuovo.
Ma Erika non è una voce isolata. Negli Stati Uniti numerosissimi gruppi e le associazioni femministe a favore della vita.
Si rifanno tutti alla tradizione delle prime femministe americane che lottavano per l’emancipazione della donna, per il diritto di voto (ottenuto nel 1920), per migliori condizioni lavorative, per la sicurezza sul posto di lavoro, contro la violenza, per il diritto all’istruzione dei bambini, contro lo sfruttamento del lavoro minorile, ma erano anti-abortiste.
Una di loro, Alice Paul (un gruppo femminista porta oggi il suo nome) scrisse che l’aborto “è il massimo sfruttamento delle donne”. Sulla stessa linea la femminista Susan B. Anthony ed Elizabeth Cady Stanton figura guida dei primi movimenti femministi americani.
Per leggere l’articolo clicca sul link: “Sono femminista e contro l’aborto” di Erika Bachiochi
E’ quanto afferma il prof. Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita a proposito della puntata del 17 gennaio di ‘Presa Diretta’ andata in onda su RAI Tre.
Ecco il comunicato stampa di Gigli ripreso al momento da ANSA, Dire e Italpress:
COMUNICATO STAMPA – RAI: GIGLI (MOVIMENTO VITA), GRAVE CRIMINALIZZAZIONE MEDICI OBIETTORI. COMMISSIONE VIGILANZA E ORDINI MEDICI INTERVENGANO
Roma, 18 GEN – “Esprimiamo tutto il nostro sdegno per l’ennesima criminalizzazione dei medici obiettori andata in onda ieri sera nel corso della trasmissione ‘Presa diretta’ su Rai Tre, con il servizio pubblico responsabile della divulgazione di un prodotto infarcito di falsità. Invitiamo la Commissione di Vigilanza RAI ad intervenire correggendo l’uso dell’informazione a fini ideologici e la Federazione nazionale degli ordini dei medici a reagire a questo attacco ai fondamenti etici della professione”. Lo dichiara in una nota il presidente del Movimento per la Vita Italiano e deputato del gruppo parlamentare ‘Democrazia Solidale-Centro Democratico’, Gian Luigi Gigli.
“L’obiezione di coscienza non costituisce una benevola concessione da parte di uno Stato fonte di ogni diritto, bensì – sottolinea Gigli – un diritto che, al pari del diritto alla vita, lo Stato democratico può soltanto riconoscere, se vuole distinguersi dai regimi autoritari.
Il rispetto della coscienza dei singoli connota soprattutto le democrazie pluraliste, in cui la mancanza di valori condivisi non può essere sostituita dall’imposizione per legge di un’etica, se pur maggioritaria. Rappresenta una difesa della coscienza del singolo, quando le leggi e le istituzioni mettono in discussione i diritti naturali, primo tra i quali il diritto alla vita. La richiesta di sopprimere la vita di un essere umano fa nascere, infatti, un insanabile conflitto nell’animo di chi ha scelto di curare e di aver cura.
I dati ufficiali del Governo hanno il pregio di dimostrare la pretestuosità degli attacchi ai medici obiettori di coscienza, contro i quali vengono periodicamente riproposti ostacoli alla progressione di carriera e concorsi riservati ai medici non obiettori.
Il Ministero della salute conferma infatti che non emergono criticità nella fornitura del ‘servizio’, riconducibili alla testimonianza a favore della vita dei medici obiettori. Continuano infatti a diminuire i tempi di attesa fra rilascio della certificazione e intervento, mentre il 90.8% delle IVG viene effettuato nella regione di residenza, anche perché ogni 75 strutture in cui si partorisce ve ne sono 5 in cui si fa un’IVG: un dato decisamente elevato se si tiene conto che per fortuna il numero di IVG è pari a circa il 20% del numero di nascite. I medici non obiettori non possono nemmeno lamentare di essere ghettizzati a fare aborti, effettuando in media 1.6 aborti a settimana, con un minimo di 0.5 per la Sardegna e un massimo di 4.7 IVG per il Molise. Impossibile dunque che il carico di ‘lavoro’ legato alle IVG impegni tutta l’attività lavorativa di chi si è reso disponibile ad eseguire aborti.
Mentre si assiste alla cancellazione dei punti nascita, vi è il sospetto che l’insistenza nel voler penalizzare gli obiettori possa mascherare il tentativo di privilegiare le carriere dei non obiettori a danno dei medici che optano per la sacralità della vita.
La presenza di obiettori è sotto attacco in Italia e nel resto d’Europa perché disturba chi vorrebbe fare dell’aborto un diritto e costituisce un silenzioso richiamo per tutte le coscienze sul valore della vita umana e sui diritti del nascituro”.
On. Prof. Gian Luigi Gigli
Presidente del Movimento per la Vita Italiano
«Aborto, una tragedia da non banalizzare».
Così titola il quotidiano “Avvenire” a pagina 15 dell’edizione odierna. Prendendo spunto dai recenti 4 casi di donne morte in sala parto e di quella morta durante un aborto, il giornalista Paolo Ferrario parla con il prof. Gianluigi Gigli presidente del Movimento per la Vita.
«Per non morire di parto bisogna migliorare l’efficienza dei punti nascita e non è detto che il modo migliore sia chiudere quelli che non arrivano a 500 parti all’anno». Non sempre, insomma, “razionalizzazione” e “sicurezza” vanno di pari passo, ricorda il presidente del Movimento per la Vita, Gian Luigi Gigli, che interviene sui decessi in sala parto delle ultime settimane, avanzando riserve su uno dei capisaldi del Piano del ministero della Salute su gestione e modelli dei punti nascita. «Prima di pensare di sopprimere il servizio in tante località sulla base di dati puramente quantitativi – sottolinea Gigli – sarebbe forse preferibile valutare per ognuno di essi le prestazioni, in termini di esiti e di complicanze».
Più avanti prosegue l’articolo:
In primo luogo, osserva il presidente del Movimento per la vita, chi vuole evitare che le donne muoiano durante un’interruzione di gravidanza, «dovrebbe lavorare con noi per rimuovere le cause socio-economiche che portano tante donne all’aborto». Oggi questo servizio viene svolto «senza alcun efficace intervento preventivo da parte delle istituzioni, ma soltanto con l’aiuto dei volontari dei nostri Centri di Aiuto alla Vita»